HOME

 

OMAGGIO A EZRA POUND
Tratto da: CARPE DIEM

 

Ezra Pound

 

Questo lavoro frutto della collaborazione della redazione di Carpe Diem e Vertex Teatro,è stato rappresentato per la prima volta in Italia nel 1995 a Milano, vuole essere un omaggio ad uno dei più grandi poeti del novecento. Per chi volesse otterere il fascicolo in contrassegno, è sufficiente inviare una e mail: carpediem@iol.it


BIOGRAFIA

Ezra Pound nasce il 30 Ottobre 1885 a Hailey nell'Idaho. Viene da una famiglia di Puritani del New England e Quaccheri della Pennsylvania. La famiglia lascia il Far West e si stabilisce nei pressi di Filadelfia dove Pound risiede fino al trasferimento a Rapallo nel 1929. Nel 1898 compie il suo primo viaggio in Europa con la famiglia. Nel 1901 si iscrive all'Università di Pennsylvania in Arts and Letters. Studia le lingue romanze e scopre i poeti provenzali cui in seguito dedicherà numerosi studi e traduzioni. Nel 1906 ottiene una borsa di studio, viaggia in Europa, Spagna e Italia. Torna in America ma non gli viene rinnovata la borsa di studio, dopo quattro mesi di insegnamento come docente di letteratura spagnola e francese in un'Università dell'Indiana, è invitato a dare la dimissioni perché il suo stile di vita è ritenuto troppo bohemien. Nel 1908 s'imbarca per l'Europa con 80 dollari in tasca (considererà sempre l'optimum per uno scrittore possedere solo ciò che entra in due valigie). Va a Londra, Parigi, Venezia, pubblica i suoi primi libri di poesia. Conosce ed aiuta in tutti i modi artisti poeti musicisti. Nel 1913 la vedova del grande filologo Ernest Fenellosa gli affida i manoscritti del marito. Inizia così la trasposizione delle poesie cinesi. Nel 1914 diventa segretario del poeta irlandese Yeats, infaticabile sostenitore di Joyce e impone la pubblicazione delle prime poesie di Eliot. Intanto la sua attenzione poetica si concentra sui Cantos. Nel 1925 si trasferisce da Parigi a Rapallo dove resterà stabilmente fino al 1945 dedicando le sue energie alla stesura dei Cantos e alle traduzioni di Confucio. Nel 1931-32 intensifica gli studi economici e la sua polemica contro le manovre economiche internazionali. Nel '41 viene ostacolato il suo rimpatrio, resta in Italia e riprende i suoi discorsi alla radio. I suoi discorsi erano preceduti dall'annuncio che non gli sarebbe stato chiesto di dire nulla in contrario alla sua coscienza o incompatibile con i suoi doveri di cittadino degli Stati Uniti. Alla radio riprende il tema delle conferenze svolte alla Bocconi, insistendo sulla natura economica delle guerre. Il 3 maggio del '45 due partigiani vengono a prelevarlo, viene condotto al comando alleato da lì, dopo due settimane di interrogatori, viene trasferito a Pisa nelle mani della polizia militare. Per tre settimane è rinchiuso in una gabbia di ferro, esposto al sole di giorno e agli accecanti riflettori di notte. Trasferito poi sotto una tenda, gli viene concesso di scrivere. Compone i Canti Pisani. Viene trasferito a Washington, dichiarato traditore, viene richiesta per lui la pena di morte. Al processo viene dichiarato infermo di mente e rinchiuso per dodici anni nel manicomio criminale di Saint Elizabeth. Incominciano a circolare petizioni da parte di scrittori ed artisti da tutte le parti del mondo e si fanno sempre più insistenti le proteste contro la sua detenzione. Nel '58 viene liberato, si rifugia presso la figlia a Merano. Escono i suoi Cantos, partecipa invitato a numerose attività artistiche e letterarie, mostre, convegni a livello internazionale accolto con tutti gli onori.
Nel 1972 muore a Venezia dove è sepolto.

FRAMMENTI CRITICI

Basterebbe considerare la frequenza con la quale nelle Università americane ed europee vengono presentate o richieste tesi di laurea sull'opera di Ezra Pound per convincersi dell'attualità del cantore dell'impossibile e dei suoi insegnamenti non soltanto letterari.
Un dettaglio fondamentale non va dimenticato quando si parla delle posizioni ideologiche di Pound: la sua follia, sancita con editto democratico. Era stato decretato pazzo (sistema in uso anche nelle altre "democrazie", quelle socialiste) non tanto per la sua scandalosa adesione al fascismo, quanto per aver individuato nel materialismo della "usurocrazia" (la manipolazione del denaro cartaceo che produce denaro) la causa principale della degenerazione sociale e, dunque, anche delle guerre. Imperdonabile.
Ufficialmente imperdonabile. Ma con un carico di rimorsi che spingeva con urgenza nell'anima dell'Occidente. Come quel Premio Nobel assegnato nel 1948 ad Eliot che abbondantemente sottintendeva anche un riconoscimento all'autore dei Cantos, in quel periodo ristretto ed umiliato nel manicomio di St. Elizabeth.
Non era stato Eliot a celebrare Pound "il miglior fabbro" delle sue poesie? Molti sono infatti i componimenti di Eliot cui Pound mise mano per la stesura definitiva. Non va dimenticato che la stima di Pound per Eliot giunse al punto di vederlo entusiasta promotore di una colletta che assicurasse all'amico l'otium letterario, senza preoccupazioni di ordine economico, una volta abbandonata la banca per la poesia.
Del resto il precedente riconoscimento indiretto a Pound tramite il Nobel ad Eliot ha fatto scuola negli anni sessanta con il Nobel a S. Becket che sottintendeva un riconoscimento a Joyce, altro grande della letteratura mondiale scoperto e sostenuto da Pound, da questo poeta generoso che ha saputo consegnare agli onesti seguaci di tutte le fedi una ricetta infallibile per la verifica della bontà dei valori in cui ciascuno crede :"Se un uomo non è disposto a rischiare qualcosa per i suoi ideali, o i suoi ideali non valgono niente, o non vale niente lui".
Fra i tanti messaggi che il poeta moralmente martirizzato ci ha consegnato, uno, in particolare desideriamo ricordare nella presente circostanza, perché ci sembra il più idoneo a testimoniare la continuità di quello che siamo stati in quello che cerchiamo di essere e soprattutto in quello che speriamo di divenire. Un messaggio che è anche una raccomandazione alle generazioni in corsa verso il futuro: "tutte le età sono contemporanee". Ed è qui il segreto dell'intramontabilità dei nostri ideali.
All'attualità di Ezra Pound alla cultura del nostro tempo e del tempo che verrà, valga quel che il poeta disse al termine della sua esaltante avventura terrena sul letto di morte: "La commedia è finita, gli applausi dureranno secoli ed io li ascolterò dalla casa dell'Eterno".

BREVE INTRODUZIONE ALLE POESIE GIOVANILI

La migliore introduzione alla poesia giovanile e ai Canto di Pound è una riflessione di Jung sulla funzione dell'artista:
"Essendo l'artista soprattutto lo strumento del proprio lavoro, è ad esso subordinato e non abbiamo motivo di aspettarci che ce lo interpreti. Egli ha contribuito con il meglio di se stesso dandogli una forma, l'interpretazione la deve lasciare ad altri e al futuro".
A questa riflessione di Jung, Pound risponde con i seguenti versi:
Porca l'oca, non può esservi che un Sordello!
Ma dico, se volessi usare i tuoi trucchi,
introdurre hystera prostera, dichiarando il tuo Sordello
"Una forma d'arte", che il mondo moderno ha bisogno
di tale bisaccia per riporvi i pensieri;
O butto là il bottino, lucido argento come
sardine fresche che si dibattono sui ciottoli della riva?
(Sto davanti alla buca, la favella; ma la verità
e dentro il discorso - la buca è piena del midollo della scienza).

INTRODUZIONE A HISTRION

In una delle poesie giovanili dal titolo "Histrion" il poeta auspica l'immedesimazione che è propria dell'attore, per poter comunicare più intensamente con i grandi Maestri delle nostre anime.

Nell'antica Roma, Histrion era l'attore di teatro, dall'etrusco Hister (il termine dapprima riservato ai saltimbanchi e ai domatori etruschi, fu poi dato agli attori locali che imitavano gli Etruschi e più tardi esteso agli attori della commedia latina).


HISTRION
Nessuno mai osò scrivere questo,
ma io so come le anime dei grandi
talvolta dimorano in noi,
e in esse fusi non siamo che
il riflesso di queste anime.
Così son Dante per un po' e sono
un certo Francois Villon, ladro poeta
o sono chi per santità nominare
farebbe blasfemo il mio nome;
un attimo e la fiamma muore.
Come nel centro nostro ardesse una sfera
trasparente oro fuso, il nostro "Io"
e in questa qualche forma s'infonde:
Cristo o Giovanni o il Fiorentino;
e poi che ogni forma imposta
radia il chiaro della sfera,
noi cessiamo dall'essere allora
e i maestri delle nostre anime perdurano.

INTRODUZIONE ALLA SESTINA ALTAFORTE


Da una raccolta di poesie giovanili -Personae - scegliamo la sestina, detta Altaforte che aspira a dei contenuti epici, nei quali si affaccia per la prima volta il tema della necessaria sovrapposizione dei ruoli del poeta e del combattente politico.
La sestina, struttura formale desunta dalla poesia provenzale, richiede chiarimenti non tanto sulla vita e sulle opere della persona che vi parla (il bellicoso nobile e trovatore Bertrans de Born) quanto sulla sotterranea complicità creata fra questi e Pound. Postulando qui dal secondo verso un ascoltatore, il giullare Papiols, e schizzando una serie di scene medievali di battaglia, Pound esprime, pur situando in un passato storico la "situazione drammatica", la propria nostalgia per un'epoca in cui i poeti non avevano abdicato all'azione e osavano "seminare discordie" pur di combattere la stagnante ipocrisia. Nel componimento si delinea l'atteggiamento irrequieto dell'autore nei confronti del ruolo istituzionalmente riservato dai moderni al poeta.
Prima di leggere la Sestina Altaforte vorrei ricordare quello che la poetessa inglese e amica di Pound, Marianne Moore, gli aveva ricordato: - non c'è mai stata guerra che non fosse dentro di noi.
El Jihad acghar - chiamano gli islamici la piccola guerra delle armi
El Jihad akbar - la grande guerra interiore dell'anima
La guerra cruenta come degenerazione della guerra interiore, e non vi è pace senza il superamento dell'una e dell'altra.
Anche San Paolo sentiva la vita come milizia.
Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma la spada.
(Matteo 10,34)

SESTINA ALTAFORTE

Loquitur: En Bertrans de Born.
Dante Alighieri mise quest'uomo nell'inferno
perché era un seminatore di discordia.
Eccovi!
Giudicate!
Scavando l'ho tratto fuori nuovamente?
La scena è al suo castello, Altaforte. "Papiols" è il suo giullare.
"Il Leopardo", la divisa di Riccardo Cuor di Leone.

All'inferno! la pace appesta tutto il nostro Sud.
Tu, cane bastardo, Papiols, vieni! Diamoci alla musica!
Io non ho vita tranne quando cozzano le spade.
Ma quando vedo stendardi d'oro, di vaio, violacei. opporsi
e i vasti campi sotto loro farsi vermigli
allora urla il mio cuore, quasi pazzo di gioia.

Nell'ardore dell'estate provo immensa gioia
quando le tempeste sulla terra ne uccidono la sporca pace
e i fulmini dal cielo nero sfolgorano vermigli
e i tuoni furiosamente ruggiscono a me la loro musica
e i venti ululano tra le pazze nuvole, nell'opporsi,
e per tutto il cielo lacerato le spade di Dio cozzano.

Conceda l'inferno di sentire presto il cozzo delle spade!
E i nitriti acuti dei destrieri che gioiscono nella battaglia,
petto chiodato opporsi a petto chiodato!
Meglio un'ora di battaglia che un anno di pace
con tavole opime, lazzi osceni, vino e lieve musica!
Ah! Non c'è vino che eguagli il vermiglio del sangue!

E io amo vedere il sole levarsi rosso sangue.
E guardo le sue lance per il buio cozzare di armi
e mi riempie il cuore di gioia
e mi empie la bocca di una forte musica
quando lo vedo così sdegnare e sfidare la pace,
la sua forza solitaria alle grandi tenebre opporsi.

L'uomo che teme la guerra e s'accascia opponendosi
alle mie parole per la battaglia, non ha sangue vermiglio.
Adatto solo a marcire nella femminea pace
lungi da dove il valore ha vinto e le spade cozzano
per la morte di tal baldracche io gioisco;
sì, riempio tutta l'aria della mia musica.

Papiols, Papiols, alla musica!
Non c'è suono che eguagli l'opporsi di spade a spade,
né grido simile all'urlo di gioia in battaglia
quando gomiti e spade stillano sangue vermiglio
e le nostre cariche cozzano contro l'assalto del "Leopardo".
Maledica per sempre Iddio quelli che gridano "Pace"!

E che la musica delle spade vermigli li renda!
L'inferno conceda presto che di nuovo s'oda il cozzar delle spade!
L'inferno cancelli in nero per sempre il pensiero "Pace"!


INTRODUZIONE AL CANTO XVL

Pound avvertì che una caratteristica del sistema industriale sta nell'accentuarsi della dicotomia tra economia naturale ed economia finanziaria.
Ora, dal 1931, occupandosi febbrilmente della politica del suo paese, e seguendo un costume tipico della democrazia americana, Pound aveva preso a scrivere a senatori e membri del Congresso, per indurli a convincersi che l'uso innaturale e scorretto della ricchezza produceva sulla nazione un'influenza perversa.
Indicando in Jefferson, il presidente degli Stati Uniti che aveva redatto la Dichiarazione d'Indipendenza nel 1776, il "principe giusto d'America", vedeva, al contrario, in Rooswelt, che riteneva influenzato negativamente dall'alta finanza, il campione d un regime politico - economico corrotto: "L'ordine civico sorge dall'ordine etico", ribadirà nel 1944, e citerà ancora una volta Confucio: " Il tesoro di una nazione è la sua onestà".
Pound combatteva l'idea che la moneta fosse trattata come merce, criticava la sua tesaurizzazione.


In pratica si richiamava all'idea aristotelica di usura, fatta propria anche dalla tradizione cristiana, secondo la quale l'interesse sui prestiti di denaro sarebbe un peccato contro natura, pur senza spingersi all'estremo di condannare ogni attività finanziaria.
Per lui l'usura è "una tassa prelevata sul potere d'acquisto senza riguardo alla produttività", e sovente senza riguardo persino alla possibilità di produzione, come dice nel Canto XLV (45).

CONTRO L'USURA

Con usura nessuno ha una solida casa
di pietra squadrata e liscia
per istoriarne la facciata,
con usura
non v'è chiesa con affreschi di paradiso
harpes et luz
e l'Annunciazione dell'Angelo
con le aureole sbalzate,
con usura
nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine
non si dipinge per tenersi arte
in casa ma per vendere e vendere
presto e con profitto, peccato contro natura,
il tuo pane sarà staccio vieto
arido come carta,
senza segala né farina di grano duro,
usura appesantisce il tratto,
falsa i confini, con usura
nessuno trova residenza amena.
Si priva lo scalpellino della pietra,
il tessitore del telaio
CON USURA
la lana non giunge al mercato
e le pecore non rendono
peggio della peste è l'usura, spunta
l'ago in mano alle fanciulle
e confonde chi fila. Pietro Lombardo
non si fe' con usura
Duccio non si fe' con usura
nè Piero della Francesca o Zuan Bellini
nè fu "La Calunnia" dipinta con usura.
L'Angelico non si fe' con usura, nè Ambrogio de Praedis,
nessuna chiesa di pietra viva firmata :"Adamo me fecit".
Con usura non sorsero
Saint Trophine e Saint Hilaire,
usura arrugginisce il cesello
arrugginisce arte ed artigiano
tarla la tela nel telaio, nessuno
apprende l 'arte d'intessere oro nell'ordito;
l'azzurro s'incancrena con usura; non si ricama
in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling
usura soffoca il figlio nel ventre
arresta il giovane amante
cede il letto a vecchi decrepiti,
si frappone tra giovani sposi
CONTRO NATURA
Ad Eleusi han portato puttane
carogne crapulano
ospiti d'usura.

BREVE INTRODUZIONE AI CANTOS

I Cantos sono l'immane sforzo per avvicinare l' Est e l'Ovest e arrivare ad una sintesi dello scibile umano, per compiere questo è necessario il ritorno alle origini. Pound, uomo vivo, scende nel mondo dei morti, dove passato, presente e futuro sono in costante fluire, fra scene umane e visioni celesti, verità storiche e intuizioni poetiche.
E quando attraverso i ricorsi storici, passando dal quotidiano al mondo divino o perenne, si giunge al momento magico, al momento della metamorfosi, Pound bruscamente ci richiama alla realtà: sui Cantos non v'è mistero, "sono la storia della tribù".

CANTO I
Poi scendemmo alla nave,
e la chiglia tagliò il divino mare
drizzammo l'albero e le vele della nave negra,
a bordo portammo pecore e i corpi nostri
carichi di lacrime, e il vento in poppa
ci avviò con panciute vele,
di Circe benecomata arte fu questa.
Poi sedemmo sulla nave, correndo col vento
a vele tese sino a sera.
Spento il sole, ombra sull'oceano,
noi venimmo al limite delle acque profonde,
alla terra dei Cimmeri, e città popolose,
sovra tessuta nebbia fitta, mai strale
di sole la trafigge
nè rotando alle stelle, nè tornando dal cielo,
notte fosca copre quella misera gente.
L'oceano in moto contrario, noi venimmo al luogo
predetto da Circe.
Qui Euriloco e Perimede compiron riti,
traendo la spada dal fianco
scavai il fosso di un cubito quadro;
ad ogni morto spargemmo libagioni,
Idromele, poi vin dolce, acqua con bianca farina.
Molte orazioni mormorai sulle inferme teste dei morti:
come d'uso, giunto ad Itaca, i migliori bovi
sacrificherò, ammassando beni sulla pira,
e al solo Tiresia un nero campano.
Sangue scuro scorreva nella fossa,
anime dell'Erebo, morti cadaverici, schiere di spose,
di giovani e di vecchi provati dagli affanni;
anime ancor macchiate di fresche lacrime, blande fanciulle,
uomini molti, dalle teste tartassate da lance di bronzo,
predati in guerra, ma pur recanti sanguinose armi,
mi s'affollarono intorno, urlando,
impallidii, gridai ai miei uomini per altre bestie;
trucidarono i greggi, pecore colpiron con bronzo;
versai unguenti, invocai gli dei,
l'immane Plutone, lodai Proserpina;
a spada sguainata
allontanai gli impetuosi ed impotenti morti,
fino ad udir Tiresia.
Ma prima venne l'amico Elpenor,
l'insepolto, gettato sulla terra lata,
salma abbandonata in casa di Circe,
non pianto, non sepolto, ché altro urgeva.
Miserando spirito. E io gridai affrettato:
"Elpenor, come giungesti all'oscura sponda?
Hai preceduto a piedi i rematori?"
Ed egli con parlar lento:
"Malo fato e molto vino. Dormii presso il fuoc di Circe.
Scendendo caddi per la lunga scala
contro il barbacane
rompendomi l'osso del collo, e l'anima cercò l'Averno.
Ma vi prego, sire, ricordatevi di me, non pianto e insepolto,
ammucchiate l'armi mie, la tomba sul lido porti:
Misero fu, ma con fama futura
E sul tumulo s'innalzi il remo mosso tra i compagni".
Venne Anticlea, che tenni lontana, poi Tiresia di Tebe,
tenendo l'aurea verga, mi riconobbe e per primo parlò:
"Una seconda volta? Perché? Uomo di torva stella,
visiti i morti senza sole e questo regno infausto?
Via dal fosso, fa ch'io beva il sangue,
e vaticini."
Ed io indietreggiai,
ei, forte di sangue, disse: "Odisseo
tornerà pur Nettuno contrario, sovra mari oscuri,
perderà tutti i compagni". Anticlea rivenne.
Taccia ormai Andreas Divus (che cito).
In officina Wecheli (stampato) A.D. 1538, da Omero.
Oltrepassò le Sirene, lungi da lì
sino a Circe.
"Venerandam".
In stile cretense, con l'aurea corona, "Venerem,
Cypri munimenta sortita est", gioconda, oricalca,
auree cinte alla vita e ai seni, palpebre di bistro,
che portò il ramo d'oro dell'Argicida. Si che:
I BELIEVE IN THE RESURRECTION OF ITALY QUIA IMPOSSIBLE EST NOW IN THE MIND INDESTRUCTIBLE

INTRODUZIONE AL CANTO LXXII
Ed è sulla base di questa fede che si innestano le immagini di resurrezione nel famoso Canto 72 in lingua italiana, scritto nel dicembre 1944 in occasione della morte di Marinetti e soprattutto del bombardamento del Tempio Malatestiano.

Tornano gli spiriti di Marinetti, di Ezzelino da Romano, si scoperchiano i sarcofagi di Galla Placidia a Ravenna, dove riposa anche Gemisto, il filosofo neoplatonico che credeva nella palingenesi e chi sa se le dottrine di Gemisto (egli stesso si riteneva un'incarnazione di Platone) non abbiano ispirato il tono di rinascita del Canto. Lo stesso tempio ristrutturato nel '400 rappresenta la rinascenza dell'ideale classico e ora, bombardato, si rianima e dappertutto sui sepolcri spuntano vessilli di vittoria. Nel Canto 72 a Marinetti che vuol tornare (risorgere) per lottare ancora, Pound risponde...

CANTO LXXII
Purché si cominci a ricordare la guerra di merda
certi fatti risorgeranno. Nel principio, Dio,
il grande esteta, dopo aver creato cielo e mondo,
dopo il tramonto volcanico, dopo aver dipinto
la roccia con licheni a modo nipponico,
cacò il gra usuraio Satana-Gerione, prototipo
dei padroni di Churchill. E mi viene ora a cantar
in gergo rozzo (non a (h)antar 'oscano) ché
dopo la sua morte mi venne Filippo Tomaso dicando:
"Bè, sono morto,
ma non voglio andare in Paradiso, voglio combattere ancora.
Voglio il tuo corpo, con che potrei ancora combattere".
Ed io risposi: "Già vecchio il mio corpo, Tomaso
e poi, dove andrei? Ne ho bisogno io del corpo.
Ma ti darò posto nel Canto, ti darò la parola, a te;
ma se vuoi ancora combattere, va; piglia qualche giovinotto
pigiate hualche ziovinozz' imbelle ed imbecille
per fargli un po' di coraggio, per dargli un po' di cervello
per dare all'Italia ancor' un eroe fra tanti;
così puoi rinascere, così diventare pantera,
così puoi conoscere la bi-nascita, e morir una seconda volta
non morir viejo a letto,
anzi morir a suon di battaglia
per aver Paradiso.
Purgatorio già hai fatto
dopo il tradimento, nei giorni di Settembre Ventunesimo,
nei giorni del crollo.
Vai! Vai a farti di nuovo eroe.
Lascia a me la parola.
Lascia a me ch'io mi spieghi,
ch'io faccia il canto della guerra eterna
fra luce e fango.
Addio, Marinetti!
Tornaci a parlar quando ti sembra".
"PRESENTE"
e, dopo quel grido forte, mesto aggiunse:
"In molto seguii vuota vanitade,
spettacolo amai più che saggezza
ne conobbi i savi antichi e mai non lessi
parola di Confucio né di Mencio.
Io cantai la guerra, tu hai voluta pace,
orbi ambedue!
Che all'interno io mancai, tu all'odierno".
E parlava a me
in parte solamente né al vicino
una parte di se con se dialogava
e non di se il centro; e da grigia
la sua ombra si fè più grigia
finché un altro tono della gamma
uscì dalla diafana del cavo vuoto:
"Vomon le nari spiriti di fiamma"
Ed io:
"Venisti tu Torquato Dazzi a ninna-nannarmi i versi
che traducesti vent'anni or sono per svegliar Mussato?
Tu con Marinetti fai il paio
ambi in eccesso amaste, lui l'avvenire
e tu il passato.
Sovra-voler produce sovra-effetto
purtroppo troppo, egli distrugger volle
ed or vediamo le sue rovine più che nel suo voler".
Ma il primo spirito impaziente
come chi porta notizia urgente
e non sopporta affare di minor urgenza
riprese, ed io riconobbi la voce di Marinetti
come sentita Lungotevere, in Piazza Adriana:
"Vai! Vai!
Da Macalè sul lembo estremo
del gobi, bianco nella sabbia, un teschio
CANTA
e non par stanco, ma canta, canta:
-Alamein! Alamein!
Noi torneremo!
N O I T O R N E R E M O !-"
"Lo credo", diss'io,
e mi pare che di codesta risposta ebbe pace.
Ma l'altro spirito tornò al suo ritornello
con:
"poco minor d'un toro"...
(che è verso dell'Eccerinus
tradotto dal latino).
Egli non pose fine al verso.
Perché tutta l'aria tremò, e tutta l'ombra
con sconquasso
e come tuono che la pioggia ingombra
saettava frasi senza senso. Finché con scrocchio
come nello scafo sommerso quando il raggio lo trova
che precorre forse la morte
ed in ogni caso gran pena,
udii in stridio crepitar':
"Calunnia Guelfa, e sempre la loro arma
fu la calunnia, ed è, e non da ieri.
Furia la guerra antica in Romagna
lo sterco sale sino a Bologna
con stupro e fuoco, e dove il cavallo bagna
son marocchini ed altra genia
che nominar è vergogna,
sì che il sepolto polvere s'affasca
nel profondo, e muove, e spira,
e, per cacciar lo straniero, agogna
a tornar vivo.
Di sporco vidi io parecchio ai miei tempi,
la storia dà esempi a serie sporca
di chi tradì città o una provincia
ma quel mezzo feto
tutta l'Italia vendé e l'Impero!
Rimini arsa e Forlì distrutta,
chi vedrà più il sepolcro di Gemisto
che tanto savio fu, se pur fu greco?
Giù son gli archi e combusti i muri
del letto arcano della divina Ixotta..."
"Ma chi sei?" clamai
contra la furia della sua tempesta,
"Sei tu Sigismundo?"
Ma egli non m'ascoltòfuriando:
"Più presto sarà monda la Sede
da un Borgia che non da un Pacelli.
Figlio d'usuraio fu Sisto
e tutta la lor combutta
di Pietro negator' degni seguaci,
d'usura grassi e di ottimi contratti!
Ch'or' vengon' a muggirVi che Farinacci
ha mani rozze, perché è mangia foglia.
Ha una mano rozza, ma l'altra ha dato
così avendo onore cogli eroi,
tanti ne sono: Tellera, Maletti,
Miele, de Carolis e Lorenzini
Guido Piacenza, Orsi e pedrieri
fiol di banchiere fu Clemente, e nato
d'usuraio il Decimo Leone..."
"Chi sei?" clamai
"Io son quell'Ezzelino che non credé
che il mondo fu creato da un ebreo.
Se d'altro scatto io fossi reo
poco t'importa ora.
Mi tradì chi il tuo amico ha tradotto
cioè Mussato, che ha scritto
ch'io son fiol d'Orco,
e se tu credi a simile patocchia
ogni carota può ben farti ciuco.
Il bello Adonide morì d'un porco
a far pianger' la Ciprigna bella.
Se feci giocattolo della ragione
direi che un toro da macello,
o dal zoologo, vale un piccione;
chi delle favole prende piacere e gioia
dirà che l'animale non fa la religione.
Un solo falso fa più al mondo boia
che i miei scatti: tutti! Ragna, ragnaccia!
Cavami quella belva dal suo buco
se non è questa:
Bestia umana ama la pastoia?
Se mai l'imperatore quel dono fece,
Bisanzio fu madre del trambusto,
lo fece senza forma e contra legge,
scindendo sé dal sé e dallo giusto;
né Cesare se stesso mise in schegge,
né Pietro pietra fu prima che Augusto
tutta la virtù ebbe e funzione.
Chi dà in legge è solo il possidente,
e'l caso ghibellin ben seppe il fiorentino".
E come onde che vengon da più di un trasmittente
sentii allora
le voci fuse e con frasi rotte
e molti uccelli fecer' contrappunto
nel mattino estivo,
fra il cui cigolar
in tono soave:
"Placidia fui, sotto l'oro dormivo".
Suonava come note di ben tesa corda.
"Malinconia di donna e la dolcezza"...
Ma io ebbi la pelle convulsa
fra le mie spalle,
e il mi polso preso
in sì ferreo laccio
che muover non potei
né mano né spalla, e ad afferrare il polso
io vidi un pugno
e non vidi avambraccio
che mi tenne come chiodo in muro;
mi crede insulso chi non ha fatto la prova.
E poi la voce che prima furiava,
mi disse feroce, dico feroce, ma non ostile
anzi era paterna quasi, come chi spiega
in mezzo di battaglia che deve fare un giovin' poco esperto:
"La voglia è antica, ma la mano è nuova.
Bada! Bada a me, prima ch'io torni
nella notte.
Dove il teschio canta
torneranno i fanti, torneranno le bandiere".

Abbiamo evocato Marinetti; ascoltiamo ora, attraverso le parole della moglie Benedetta, la prefazione alla sua ultima opera

Il primo dicembre l'alba, dietro i monti del centro lago di Como, sollevava appena le tenebre, Marinetti fu sveglio. Marinetti rifuggiva da queste ore di trapasso dalla notte al giorno; così per abitudine accendevo molte lampade e parlavamo. Quell'alba parlò Marinetti. Scagliò contro la fuliggine sporca che opprimeva il cielo d'Italia rancore, dolore fede, il suo dramma. Ritornando dal fronte sul Don dove 30° sotto zero avevano leso il suo cuore, in 23 mesi paziente speranza e volontà di guarire aveva potenziate chiarificate sublimate al massimo le proprie possibilità spirituali ma sempre in pericolo mortale per ogni minimo sforzo fisico. Marinetti poteva solo essere pensiero azione. Concluse: "Benedetta fammi uscire da questo tormento altrimenti muoio". Simili stati d'animo gli nuocevano. Mi chiese un calmante. Si assopì. La cima del monte Crocione era già imbevuta d'oro e le pallide nebbie su Cadenabbia vinte quando si svegliò. Marinetti guardò felice al sole, al giorno luminoso nitido senza decoro di foglie, ingioiellato dall'aria rigida, cesellato in ogni tono e forma. "Sono contento", disse, "nel dormiveglia ho precisato un poema per l'Italia".
Quando il sole era alto, scese a riva lago dove l'acqua madreperla rosa viola si sforzava di plagiare trasparenze blu capresi. Ricordi di vita solare. Ora la fuga a toni degradante dolcissimi dei promontori portava lo sguardo in alto al candore delle navi circonfuse di luce e di azzurro.
Marinetti fu a lungo assorto, costruiva un suo nuovo libro sul paesaggio manzoniano. Lo stupì e interessò un volo opaco pesante cieco: andava tornava fior d'acqua davanti alla nostra ringhiera, un piccolo pipistrello fuori tempo e luogo. Segnava forse già la pausa nera del destino. Poi, scolaro diligente compito d'esame bene eseguito, volle proprio scrivere lui il poema sulla X Mas e proprio volle sul quaderno della primogenita Vittoria incitamento gara colla esuberante giovinezza tormentata e altalenante fra indolenza oriente letteratura e passione azione vita, universitaria aspirante ausiliaria. "Come me", diceva "sono responsabile, sei il mio ritratto". Lesse a lei e a me il suo poema. Finita la breve cena un libro americano in mano di una signora belga scatenò in lui una delle tipiche conversazioni monologo in francese: essenza della poesia, del romanzo, universalità precisione stilistica psicologia immaginazione primato italiano.
Alla 1 e 20' del 2 dicembre la sua voce calma mi chiama: "Scusami. Già sveglio ho voluto lavorare troppo intensamente. Ho un po' d'affanno" La crisi precipita. Il cuore si bloccava. Mi guardò concentrando nello sguardo una sorprendente potenza di pensiero disperato interrogante, mentre la bocca disegnava non espresso un violento canto alla vita. Dio mi concesse un sorriso per confortarlo. E fu nel cielo della notte lunare. Marinetti lo hai detto alle stelle conquistate a 20 anni con il tuo primo libro il tuo ultimo canto, e il tuo pensiero lo hai consegnato al Cuore Divino. Velocemente come sapevi tu cancellare le distanze terrestri da Nord a Sud da Continente a Continente sei passato oltre il fronte della vita. Lottando per l'Italia con la tua arma che crea e non uccide e la sapevi mirabilmente usare. Vincendo per la Poesia una nuova quota. Sei partito da noi come partivi in guerra: per agire. "Finalmente", dirai, "posso senza divieti e limiti ispirare proteggere guarire la nostra adorata Italia ferita ma immortale". Le avevi dato fantasia idee sentimenti volontà ubbidienza sofferenza disperazione non potendole dare sul campo di battaglia soldato il tuo sangue il tuo cuore si è fermato.
Marinetti, il tuo sangue ha seminato i campi del cielo il 2 gennaio, per i fiori della primavera italiana.
L'hai promessa con questo poema ai soldati della nostra Italia Repubblicana.
Benedetta

QUARTO D'ORA DI POESIA DELLA X-MAS
Salite in autocarro aeropoeti e via che si va finalmente a farsi benedire dopo tanti striduli fischi di ruote rondini criticomani lambicchi di ventosi pessimismi.
Guasto al motore fermarsi fra italiani ma voi voi ventenni siete gli ormai famosi renitenti alla leva dell'Ideale e tengo a dirvi che spesso si tentò assolvervi accusando l'opprimente pedantismo di carta bollata burocrazie divieti censure formalismi meschinerie e passatismi torturatori con cui impantanarono il ritmo bollente adamantino del vostro volontariato sorgivo a mezzo il campo di battaglia.
Non vi grido arrivederci in Paradiso che lassù vi toccherebbe ubbidire all'infinito amore purissimo di Dio mentre voi ora smaniate dal desiderio di comandare un esercito di ragionamenti e perciò avanti autocarri.
Urbanismi officine banche e campi arati andate a scuola da questi solenni professori di sociologia formiche termiti api castori.
Io non ho nulla da insegnarvi mondo come sono d'ogni quotidianismo e faro di un' aeropoesia fuori tempo spazio.
I cimiteri dei grandi Italiani slacciano i loro muretti agresti nella viltà dello scirocco e danno iraconde scintille crepitano impazienze di polveriera senza dubbio esploderanno esplodono morti unghiuti dunque autocarri avanti.
Voi pontieristi frenatori del passo calcolato voi becchini cocciuti nello sforzo di seppellire primavere, entusiaste di gloria ditemi siete soddisfatti d'aver potuto cacciare in fondo fondo al vostro letamaio ideologico la fragile e deliziosa Italia ferita che non muore.
Autocarri avanti e tu non distrarti raggomitola il tuo corpo ardito a brandelli che la rapidità crudele vuol sbalestrarti in cielo prima del tempo.
Scoppia un cimitero di grandi Italiani e chiama Fermatevi fermatevi volantisti italiani avete bisogno di tritolo ve lo regaliamo noi ve lo regaliamo noi noi ottimo tritolo estratto dal midollo dello scheletro.
E sia quel che sia la parola ossa si sposi colla parola possa con la rima vetusta frusti le froge dell'Avvenire accese dai biondeggianti fieni di un primato.
Ci siamo finalmente e si scende in terra quasi santa.
Beatitudine scabrosa di colline inferocite sparano.
Vibra a lunghe corde tese che i proiettili strimpellano la voluttuosa prima linea di combattimento ed è una tuonante catedrale coricata a implorere Gesù con schianti di petti lacerati.
Saremo siamo le inginocchiate mitragliatrici a canne palpitanti di preghiere.
Bacio ribaciare le armi chiodate di mille mille mille cuori tutti traforati dal veemente oblio eterno.

INTRODUZIONE AL CANTO LVIII
Canto 73 in lingua italiana, fu pubblicato su "Marina Repubblicana" il I febbraio 1945, con il titolo "Cavalcanti - Corrispondenza Repubblicana". Come nel Canto 72 si tratta di incontri con spiriti Lo spirito di Guido Cavalcanti narra della morte di un'eroina anonima. Uno dei generi della poesia del Duecento, "la pastorella" viene ripreso per cantare l'incontro della ragazza romagnola con i soldati canadesi, innervando nel tema d'amore la testimonianza d'amor di patria. Questo stato e condizione dell'essere è un passaggio dello spirito volitivo simile al passaggio attraverso la morte alchemica, il nero più nero del nero, quella morte attiva che Pound invoca nell'altro canto in lingua italiana, il 72, letto poc'anzi: così puoi rinascere, così diventare pantera, così puoi conoscere la bi-nascita e morire una seconda volta , non morir viejo a letto, anzi morir a suon di battaglia per avere Paradiso. Nell'Opera al nero si conosce la Terra, nel bagliore che si annuncia nell'Opera al Bianco, si raggiunge il centro di sè, l'essere immortale, il luogo recintato, il giardino, il Pairidaeza di origine iranica, termine da cui deriva Paradiso.

CANTO LVIII
E poi dormii
e svegliandomi nell'aere perso
vidi e sentii,
e quel ch'io vidi mi pareva andare a cavallo,
e sentii:
"A me non fa gioia
che la mia stirpe muoia infangata della vergogna
governata dalla carogna e spergiurata.
Roosvelt, Churchill ed Eden ed il popolo spremuto in tutto ed idiota!
Morte che fui a Sarzana aspetto la diana della riscossa.
Son quel Guido che amasti pel mio spirito altiero
e la chiarezza del mio intendimento.
De la Ciprigna sfera
conobbi il fulgore già cavalcante (mai postiglione)
per le vie del borgo detto altramente
la città dolente (Firenze) sempre divisa,
gente stizzosa e leggiera che razza di schiavi!
Passai per Arimnio ed incontrai uno spirito gagliardo
che cantava come incantata di gioia!
Era una contadinella
un po' tozza ma bella ch'aveva a braccio due tedeschi
e cantava cantava amore senz'aver bisogno d'andar in cielo.
Aveva condotto i canadesi su un campo di mine
dove era il Tempio della bella Ixotta.
Camminavano di quattro o in cinque ed io ero ghiotto
d'amore ancora malgrado i miei anni.
Così sono le ragazze nella Romagna.
Venivan' canadesi a spugar i tedeschi
a rovinar' quel che rimaneva della città di Rimini;
domandarono la strada per la via Emilia a una ragazza
una ragazza stuprata
po' prima da lor canaglia
- Bè! Bè! soldati!
quest'è la strada
andiamo, andiamo a via Emilia
con loro proseguiva.
Il suo fratello aveva scavato
i buchi per le mine, là verso il mare.
Verso il mare la ragazza, un po' tozza ma bella,
condusse la truppa. Che brava pupa! Che brava pupetta!
Lei dava un vezzo per puro amore, che eroina!
Sfidava la morte,
conquistò la sorte peregrina.
Tozza un po' ma non troppo raggiunse lo scopo.
Che splendore!
All'inferno nemico, furono venti morti,
morta la ragazza fra quella canaglia,
salvi i prigionieri. Gagliardo lo spirito della pupetta
cantava, cantava incantata di gioia,
or'ora per la strada che va verso'l mare.
Gloria della patria! Gloria! gloria
morir per la patria nella Romagna!
Morti non morti son',
io tornato son' dal terzo cielo per veder la Romagna,
per veder'le montagne nella riscossa,
che bell'inverno!
Nel settentrion rinasce la patria,
ma che ragazza!
Che ragazze,
che ragazzi,
portan ' il nero!

Dai CANTI PISANI un frammento del testamento spirituale di Ezra Pound
Ciò che sai amare rimane, il resto è scoria
ciò che sai amare non ti sarà strappato
ciò che sai amare è il tuo vero retaggio
il mondo, quale? Il mio, il loro
o di nessuno?

Prima venne la vista, poi diventò palpabile
Eliso, fosse pure in quell'antro d'inferno,
ciò che tu sai amare è il tuo vero retaggio
ciò che tu sai amare non ti sarà strappato.
La formica è centauro nel suo mondo di draghi.
Deponi la tua vanità, non è l'uomo
che ha fatto il coraggio, o l'ordine o la grazia,
deponi la tua vanità, dico, deponila!
La natura t'insegni quale posto ti spetta
per gradi d'invenzione o di vera maestria,
deponi la tua vanità,
Paquin, deponila!
Il casco verde tua eleganza offusca.
"Padroneggia te stesso, e gli altri ti sopporteranno".
Deponi la tua vanità
sei cane bastonato sotto la grandine
tronfia gazza nel sole delirante,
mezzo nero mezzo bianco
tu non distingui fra ala e coda
giù la tua vanità
spregevole è il tuo odio
che si nutre di falso,
deponi la tua vanità,
sollecito a distruggere, avaro in carità,
deponi la tua vanità
dico, deponila!
Ma avere fatto piuttosto che non fare
questa non è vanità
aver bussato, discretamente,
perché un Blunt ti apra
avere colto dall'aria una tradizione viva
o da un occhio fiero ed esperto l'indomita fiamma
questa non è vanità.
L'errore sta tutto nel non fatto,
sta nella diffidenza che tentenna...

VECCHIO EZ

Vent'anni son passati, non invano, vecchio Ez, sui nostri volti e sulle nostre inquiete certezze, se oggi c'è chi è nuovamente poeta anche grazie a te, è perché hai saputo darci più di mille lezioni di chi pensa ma non vive per simboli, di chi non pensa più, con una limpida, coinvolgente passione.
Così consumatesi le macerie ideologiche, sparsi al vento gli utopismi sciocchi, siamo, assieme a te, gli orfani di un dopoguerra ormai logoro, nell'avanguerra che incalza. Altre le maschere, certo, ma i volti, vecchio Ez, son gli stessi, quelli che volevi tu "rettificare" giocandoti con tutto il tuo impeto, un tempo, col tuo silenzio alla fine.
I volti sono i medesimi, più cupi e sicuri, Usura Caos Bruttezza. Certo i tuoi versi non li hanno fermati, certo non li fermeranno i nostri, i tuoi ed i nostri così muti nei cuori induriti, agli occhi distratti, i tuoi, esemplari di trasgressione e norma, verità ed inganno, di pieno e di vuoto, violenza e tenerezza, disincanto ed illusione, di nostalgia e d'impazienza, i nostri che, incerti dell'onere -onore risalgon la china, per renderci da orfani, eredi.
Che dire, vecchio Ez, se non che, al di là di parole, oltre ogni limite e tempo, la Tradizione, come tu volevi, è trasmessa.