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Fossombrone, 2 Ottobre 1922:
L'ASSASSINIO DI FABI E FIORELLI


Il Ten. Antonio Fiorelli 1897 - 1922

“Hanno ammazzato Fabi e Fiorelli
fascisti fra i fascisti,
vendetta, sì vendetta,
farem sui comunisti”.


L'All. Pilota Furio Fabi 1900 - 1922

La Cittadella. Sinistro e pietoso colle dominante la piatta cittadina. Poche casupole, nerastre, basse fatte di scarsi mattoni, mota e pietre. Sporche, povere, arrampicate ai lati degli strettissimi e irti vicoletti che l’acqua piovana mutava nell’inverno in tante cascatelle. Non so se fosse più da compiangerne la miseria interiore o detestarne il triste aspetto. Ripassano nella mia mente, corruschi di siderei bagliori, gli angosciosi ed eroici ricordi.


Com'è oggi la Cittadella di Fossombrone

Una notte in cui la volta celeste era chiusa da minacciosi e nerastri nuvoloni, dall’alto della cittadella, ho contato, qui, nella bassa, fra il penitenziario ed il ponte aguzzo sul Metauro, ben 120 incendi. I fascisti avevano punito con tanta durezza un duplice, orrendo delitto ch’era costato le giovani vite di Antonio Fiorelli e Furio Fabi. Il primo, un giovane sui venticinque anni, reduce dalla guerra, tenente d’artiglieria; l’altro un giovanissimo studente dal bel volto ancora implume. Due credenti della prima ora, audaci e generosi. Sono caduti con le carni squarciate da orribili ferite ed entrambi chiudendo gli occhi alla vita, prima di cadere bocconi, gettarono le estreme commoventi invocazioni; «Mamma, viva l’Italia». La Patria e la Mamma, suprema dolcezza, alto privilegio, ineguagliabile dono che Iddio commette agli uomini, erano talmente al sommo dei sentimenti di quei due giovani, che non s’udì un grido che tradisse il dolore. Con un moschetto carico a pallottole esplosive, un sinistro figuro, protetto dal buio, li colpì più volte.

La notte stessa vengo avvertito, m’impadronisco di una vecchia automobile, ne affido la guida ad un valoroso fante, baritono mancato, corista ed usciere, e via per la Flaminia, verso Fossombrone. Arrivo quando i due caduti, ancora caldi, erano stati adagiati su due tavoli alla Sede del Fascio. Le ferite che laceravano le loro carni erano larghe come un pugno; i loro volti erano atteggiati ad una serenità toccante. Solo chi è assai vicino a Dio può morire così, senza le orrende smorfie del dolore che fanno ancora più brutta la morte. Ricordo che tolsi il distintivo fascista al povero Fabi e lo misi all’occhiello della giacca del padre ch’era lì, come pietrificato dal dolore. Mi tremavano le mani e due lacrime prepotenti, invano trattenute, tradivano la mia interna, grande emozione. Egli m’abbracciò. Lo strinsi sul mio cuore, con slancio e tenerezza filiali. Scrissi per la Federazione Fascista un manifesto e per «L’Ora» il «Non dimentichiamo».

Riproduciamo il manifesto affisso dalla Federazione provinciale fascista :

 

PARTITO NAZIONALE FASCISTA
FEDERAZIONE PROVINCIALE

Cittadini,

Il fascismo è in lutto.
La delinquenza assassina dei negatori della Patria ha ucciso in Fossombrone due fascisti della prima ora.
Il tenente Antonio Fiorelli e l’allievo pilota Furio Fabi. Le lacrime ci stringono il cuore, mentre le mani serrano le armi della vendetta. Sappia il pubblico che non c’è piombo che basti a stroncare il fascismo. Cadono i nostri amici più cari, ma s’illumina di nuova luce il martirio del nostro cammino.
Fascisti, a Noi!
Per Antonio Fiorelli
Per Furio Fabi alalà.
O vigliacchi, viva l’Italia.

IL DIRETTORIO PROVINCIALE.

 


Il Martire fascista Furio Fabi, assassinato alla Cittadella di Fossombrone


Il Martire Antonio Fiorelli, assassinato egli pure a Fossombrone

 

NON DIMENTICHIAMO

Cittadini!

A Cagli il 28 febbraio le belve rosse hanno tentato di bruciar vivi e di massacrare a roncolate Gaetano Liberati e il fascista Arcangeletti.

A Pergola nel giugno scorso hanno ucciso e calpestato il carabiniere Sabbatino Scavicchia; hanno ferito gravemente il fascista Camilletti, facendogli perdere per sempre l’uso del braccio sinistro.

A Schieti nel luglio i criminali rossi hanno ucciso a tradimento il carabiniere Sante di Ruscio ed hanno ferito gravemente un altro carabiniere.

A Fabbrecce nei primi di agosto un gruppo di comunisti in agguato sparava sui fascisti togliendo la luce degli occhi al fratello Carboni e ferendo altri due fascisti.

A Fossombrone la notte del 2 ottobre cadevano proditoriamente assassinati per mano bolscevica Antonio Fiorelli e Furio Fabi.

Cittadini!

Il sacrificio di tante giovani esistenze deve segnare il definitivo tramonto della delinquenza rossa e la vittoria delle forze nazionali anche nella nostra provincia. Lo giuriamo sulle salme ancor calde dei nostri fratelli!

O con noi o contro di noi!

 

Indi preparai la vendetta. Con una macchina velocissima mi gettai su Ancona, Senigallia, Pesaro. Campane a stormo per lo squadrismo dell’alta Marca! Rientrai a Fossombrone, precedendo i camions carichi di fascisti armati fino ai denti. Fra i primi arrivati vidi i componenti dell’«Asso di Bastoni» di Pesaro e della «Ramazza» d’Urbino, poi tutti gli altri. In poche ore, alcune centinaia d’uomini avevano letteralmente occupato le piazze e le strade della cittadina. Bisognava mettere un po’ d’ordine. Ormai la sera non era più tanto lontana e l’indignazione cresceva, man mano che i fascisti rendevano l’estremo saluto ai due caduti. Temevo, e non a torto, che gli stessi fascisti potessero farsi fra loro inavvertitamente, del male. Chiamai a rapporto i capi squadra ed iniziammo l’azione punitiva. Non a caso s’intende. Il libro nero, gli indirizzi ed i fascisti del posto ci fecero da sicura guida. Cominciò la sparatoria. Le serrature saltavano a colpi di moschetto ed il fuoco purificatore s’incaricava d’incenerire le abitazioni dei caporioni e dei più accesi sovversivi, regolarmente fuggiti per i campi. Anche l’assassino materiale di Fabi e Fiorelli s’era dato alla fuga portando seco l’arma. A notte alta m’incamminai verso la cittadella; appena raggiunto uno dei suoi punti più alti, mi voltai verso Fossombrone, ammantata da una luce rossastra che più di cento torcie accese sprigionavano. Anche la cittadella bruciava, dall’altra parte del colle. Fossombrone ebbe la sua tragica notte di gala. Festoni di fuoco s’intersecavano. La grande fiaccolata durò tutta la notte. All’alba, un’alba triste, fredda, piovigginosa, il fumo dei cento falò stagnava per le vie. Sembrava nebbia tant’era densa ed uniforme. Più tardi si alzò, dalla direzione del mare, un po’ di vento teso e l’atmosfera ammorbata dall’acre odore degli incendi, si ripulì, lasciando libero passo alla pioggia purificatrice. Pioveva a vento, a raffiche, con inusitata violenza. Sembrava che ogni nuvola, passando sospinta a volo radente, volesse dare il proprio contributo all’opera di spegnimento.

Le strade si ripopolarono di camicie nere. Avevano dormito all’addiaccio, sotto il porticato, allineate, come fossero in una lunghissima camerata. I più pronti avevano chiesto asilo ad alcune case abbandonate, al circolo cittadino, alle scale del municipio. Alla sede del Fascio si era vegliato. Non si può dormire dove signoreggia la morte, triste sorella bruna. Il grande sonno di Fabi e Fiorelli, accarezzati dal tremolio della pallida luce dei ceri, incuteva rispetto e silenzio. Le immobili, ormai sbiancate inerti figure fisiche dei due eroi, erano affidate alla nostra pietà, al nostro silenzio, alla nostra vendetta. Sentimmo tutti, all’unisono - gente proveniente da tutte le direzioni e dai più disparati strati sociali - la soggezione del mistero. Era la loro prima notte e nessuno la turbò, per spontanea determinazione. Quei pochi, che a turno si muovevano, camminavano in punta di piedi, sfiorando il pavimento. Nessuna cosa al mondo è più grande della pietà e dell’amore !
Poi riprendemmo, dopo la sosta della notte, la nostra azione. Bisognava ricercare, scovare, prendere l’assassino. Egli, col sistema del Passatore, andava per i monti chiedendo ai contadini pane per vivere e pagliaio per dormire. Li minacciava per avere ospitalità e s’accaparrava, esibendo il moschetto, il loro silenzio.

Cominciò la caccia. Squadre di fascisti, travestiti da contadini, presero i campi. Scrissi, a macchina, un breve manifestino, minacciando le più violenti rappresaglie a quei coloni, che, sia pure per paura, avessero dato asilo all’assassino. Uno di questi, individuato, s’ebbe i pagliai in fiamme ed il bestiame abbattuto. Non si poteva e non si doveva fare diversamente. L’esempio fu salutare. Infatti, mentre il criminale rodeva pane e cacio, offertigli con inusitata spontaneità e bonomia in una povera casa colonica, un bimbo correva pei campi ad avvertire una delle nostre pattuglie. Con abile manovra la casa venne circondata. Il fiero latitante preferì arrendersi anziché farsi bucare la pelle. Quei bravi fascisti commisero l’imprudenza e l’errore di portarlo vivo al loro comandante. Lo issarono su di una macchina e lo fecero passare, come un trofeo, fra i fascisti e quella parte di popolazione che era rimasta, avendo la coscienza monda. Il comandante lo interrogò, nella sede del Fascio, nella stanza ancora profumata dall’odore dei fiori delle poche corone che accompagnarono Fabi e Fiorelli all’ultima dimora. Interrogatorio drammatico. Confessione piena. Sentenza rivoluzionaria. Forse in tutta Italia la più rivoluzionaria delle sentenze. Chi col piombo colpisce, di piombo perisce. Neanche per un istante mi sfiorò l’idea di consegnarlo alle cosidette Autorità costituite. Esse servivano lo Stato che ci combatteva senza esclusione di colpi. Il Comandante chiamò a se un ex-ufficiale degli arditi, lo invitò a scegliersi dodici uomini e gli ordinò di far fucilare, secondo le leggi di guerra, l’assassino, dietro le mura del cimitero.

Così, poco dopo, innanzi alla popolazione convocata nel teatro cittadino, io potevo dire che nel momento in cui parlavo, il piombo fascista stava vendicando Fabi e Fiorelli.

Qui «L’Ora» può parlare meglio di me.

NOSTRA INTERVISTA COL SEGRETARIO POLITICO PROVINCIALE RICCARDI

Per mancanza di spazio non possiamo pubblicare per intero l’intervista avuta con il Segretario Provinciale, che ha diretto tutta l’azione fascista avvenuta in seguito all’uccisione dei compagni Antonio Fiorelli e Furio Fabi. Riportiamo soltanto una sua frase: «Finirò quando sarà finito. Anche in Pesaro esistono parecchie carogne palesi o nascoste le quali debbono a qualunque costo pagare il duplice omicidio. L’esecutore materiale del delitto è colpevole in quanto ha compiuto il fatto, ma non meno colpevoli di lui sono tutti quei socialisti rosei o scarlatti, comunisti e repubblico-bolscevici, che con la diuturna opera d’istigazione hanno armato la mano dell’assassino. Ne prendano nota gli interessati». Ed ha finito ripetendo: «Io finirò l’opera di rappresaglia in provincia, costi quello che costi, solo quando tutti i nemici della Nazione (comunisti, socialisti, popolari, repubblico-bolscevici e massa grigia) finiranno di calunniarci e di attentare alla vita dei nostri gregari e della Nazione».

Da «L’Ora» del 5 ottobre 1922, anno I, n. 38.

Più tardi venni fermato da un ufficiale della Benemerita che mi disse d’essere costretto ad arrestarmi se non avessi, in qualche modo, smentite le mie imprudenti parole e sconfessato il fatto ormai compiuto della fucilazione. Ne ebbi più indignazione che sorpresa. Smentire? Sconfessare? Se lo spavento del conosciuto carcere e la tema del castigo avessero fatto tremare la mia voce, vi giuro, non avrei esitato un solo istante a chiudere, precocemente, la mia esistenza. La viltà del capo sarebbe diventata la viltà di tutti. Confermai con voce ferma e con orgogliosa fierezza le mie parole e l’accaduto. Ma poi? Noi eravamo tanti, armati, intrattabili e loro erano molti e non meno armati. Un conflitto era alle viste; un conflitto fratricida. I fascisti, appena seppero di me, assunsero un vero e proprio schieramento da battaglia. Riformate le squadre d’azione, si ubicarono nei punti strategici della città. Valeva la pena, per me, di chiedere altro sangue a quello copiosamente versato nelle quattro tragiche giornate della tregenda di Fossombrone? Non esitai e venni a patti. Nessuno doveva conoscere la vera ragione della mia scomparsa; mi occorreva ancora quarant’otto ore per inquadrare nel Fascio e nei sindacati la buona parte di Fossombrone e per smobilitare il concentramento squadrista. Inoltre volevo lasciare ad uomini di provata fede la consegna. Poi sarei partito per ignota destinazione. Mi venne concesso. Impegnammo, d’ambo le parti, la nostra parola d’onore. Allo scadere del secondo giorno, avvertiti pochi privatissimi amici, alla chetichella, come nulla fosse, presi il largo. Venni a Roma. Intanto mi era stato spiccato mandato di cattura. Omicidio, mandante in omicidio, apologia di reato; ce n’era per trent’anni di galera, senza la Marcia su Roma ! Il povero, grande Michele Bianchi m’accolse con simpatia fraterna. Mi approntò una tessera del Partito con il nome... «Quale,» mi domandò. Rari, risposi. Amedeo, lo inventò Massimo Rocca. Professione Commerciante viaggiatore. «Soldi?» domandai. Mi si diede una lettera d’accompagno per un nostro camerata di Palermo. Dovevo andare in Sicilia ad organizzare i solfatai. Operai ed esercenti di miniere.


Raffaello Riccardi latitante in Sicilia

 

RELAZIONE UFFICIALE DEI FATTI DI FOSSOMBRONE

(2 ottobre 1922)

Nel 1922 Fossombrone era ancora considerata, nella provincia, come la roccaforte del sovversivismo; in effetto esso spadroneggiava al Comune, alla Congregazione di Carità e dovunque. Il Fascio locale, costituitosi il 10 maggio 1921, composto di pochi animosi sotto la guida del compianto Antonio Fiorelli era mal visto ed avversato. Nell’agosto 1922, dopo i fatti di Ancona, un forte nucleo di fascisti della provincia guidati dal Segretario Federale Raffaello Riccardi, di passaggio per Fossombrone, costrinse le Amministrazioni sovversive a dimettersi, rintuzzando le provocazioni e la resistenza degli avversari. In seguito Raffaello Riccardi teneva diversi comizi di propaganda e compiva alcune rappresaglie in questa città, costringendo i maggiori esponenti del partito comunista e socialista a ritirarsi ignominiosamente. Ma poco tempo dopo, e precisamente la notte del 22 ottobre 1922, il loro livore aveva sfogo nel vile agguato descritto nel documento che trascrivo:

 

FASCIO DI COMBATTIMENTO DI FOSSOMBRONE

8 gennaio 1923 - Protocollo N. 15

AL CONSOLE OTTORINO GIANNANTONI
Comandante la Legione Fascista Marchigiana

OGGETTO: Rapporto sui fatti che determinarono la gloriosa morte dei Fascisti tenente di Artiglieria Antonio Fiorelli, fu Gemino, nato a Torricella, frazione del Comune di Fossombrone, il 2 marzo 1897; allievo pilota Furio Fabi, di Celso, nato a Pievebovigliana (Macerata), il 3 aprile 1902.

Verso la fine del mese di settembre 1922, il comunista Valenti Giuseppe, provocava con ingiurie volgari un fascista di questa sezione e lo percuoteva valendosi della propria forza non comune e spalleggiato da altri.

Riferito il fatto al Fiduciario della Sezione tenente Antonio Fiorelli, questi si recò più volte con alcuni fascisti alla ricerca del Valenti per infliggergli la punizione che meritava per il vile oltraggio, ma non riuscì mai a rintracciarlo.

La sera del 2 ottobre si divisò di ricercarlo nella sua abitazione sita nella parte alta della città, covo dei peggiori elementi sovversivi e zona di facili agguati, nella quale più volte i fascisti erano stati sfidati a recarsi.

Il Fiorelli guidava la piccola spedizione composta di sei squadristi armati solo di bastoni e di qualche rivoltella e divisa in due gruppi: uno comandato dal fascista Furio Fabi, iscritto al Fascio di Iesi, offertosi spontaneamente, l’altro dallo stesso Fiorelli. Entrati nella casa del Valenti, questi non fu trovato. Mentre la spedizione tornava indietro, passando davanti alla porta di una stalla comunicante con l’abitazione del Valenti, fu notato che tale porta era chiusa, mentre prima non lo era. Allora Fiorelli e Fabi, sprezzanti del pericolo, si sporsero sull’uscio, ma nello stesso tempo dall’interno di detta stalla partirono alcuni colpi di fucile sparati dal Valenti e da altri complici rimasti finora sconosciuti.

Il Fiorelli, colpito alla testa, cadde rovescio gridando: «Mamma mia! muoio! viva l’Italia!!!» e non si mosse più. Il secondo colpo lo ebbe in terra, quando già era esanime.

Il Fabi fu investito sul fianco sinistro e, quantunque colpito, ebbe il coraggio di gridare: «Vigliacco! vieni fuori!!!» ed esplose nell’interno tutti i colpi della propria pistola, ma colpito nuovamente, cadde rantolando.

Gli altri fascisti appostati nelle vicinanze, risposero al fuoco esplodendo tutti i colpi delle loro armi, senza riuscire a colpire nel segno a causa della oscurità. E allora, rimasti privi di munizioni, poiché il fuoco su di essi continuava, dovettero scendere alla Sede per chiedere rinforzi e soccorso per i caduti.

Il Segretario politico: A. Campagnucci

Appena avvenuto l’eccidio, durante la notte stessa convenivano a Fossombrone, da ogni parte della provincia e della regione, squadre di Fascisti e primo fra tutti Raffaello Riccardi, il quale assumeva il Comando del Corpo Fascista di occupazione, iniziando le giuste rappresaglie e le ricerche dell’assassino che, finalmente, portarono alla sua cattura.

In seguito a ciò un «mandato di cattura» colpiva Raffaello Riccardi ed altri fascisti che, pertanto, erano costretti a darsi alla latitanza.

Fossombrone, li 12 gennaio 1934, A. XII

Il Segretario del Fascio: Fulvio Fabi

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da "Pagine Squadriste" di Raffaello Riccardi - 1939

 

La tomba di Furio Fabi nel cimitero di Fossombrone (PU)


La tomba di Antonio Fiorelli nel piccolo cimitero di Torricella di Fossombrone (PU)

 


La lapide commemorativa dedicata all'assassino di Fabi e Fiorelli, Giuseppe Valenti, giustiziato dietro le mura del cimitero.
L'autore della lapide, parlando di "scatenate orde fasciste", si è guardato bene dal citare il barbaro assassinio dei due patrioti Fabi e Fiorelli, motivo dell'atroce sentenza.