FRANCO CENERELLI

"GIANGASTONE DE' MEDICI"

«Sic transit gloria mundi!»

cm 136x109 - olio su tela 1997

 

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Tratto da: http://digilander.libero.it/enricooliari//storia/medici.html

(Per gentile concessione di Enrico Oliari)

Ultimo dei Medici, Gian Gastone è descritto da Gualtieri (suo contemporaneo) sprezzante dei nobili e attratto solo dai ragazzi di strada, che gli venivano procurati da Giuliano Dami, uno dei suoi primi amanti e suo consigliere e complice per tutta la vita.
Il bel Dami si era sbarazzato alla svelta (con le buone o con le cattive) dei concorrenti suoi coetanei, ed era rimasto unico paggio "personale" dell'arrapato Gian Gastone. Approfittando di questo ruolo Dami esigeva una "bustarella" da chi chiedeva la sua intercessione presso il granduca, come pure una pesante "tangente" dai ragazzi con cui questi aveva rapporti sessuali.
I ragazzi arrivavano al granduca per molte strade. In parte gli venivano portati dal Dami: erano studenti spiantati, garzoni di bottega, "ragazzi di vita" senza arte né parte raccattati dovunque un viso bello ed un corpo eccitante facessero mostra di sé.
In parte venivano da sé, attratti dalla fama di generosità del sovrano con chi fosse largo di... pantalone, e potevano essere ragazzi di classe sociale più alta, piccoli nobili entrati al servizio del principe come paggi o musicisti, come quel Caffarelli che, si lamenta lo scandalizzato Gualtieri, "in un caffè detto di Panone, ove si aduna gran nobiltà e cittadinanza, racconta e ha raccontato tutte le scene che passano dal Gran Duca in camera la sera, e sera per sera".
In parte infine arrivavano a corte per tutt'altri motivi e venivano prestamenete accalappiati dal granduca, come il ragazzo quattordicenne giunto con la madre vedova e due sorelle a invocare una piccola pensione. Ottenuto un po' di denaro in elemosina, si era messo per la contentezza a suonare un flautino nell'andarsene; essendo notte Gian Gastone lo udì, lo fece richiamare, si trattenne a "discutere" con lui... e gli fece ottenere anche più di quel che aveva chiesto.
Quale che fosse la strada per cui era arrivato a lui, nella seduzione del ragazzo il granduca seguiva un rituale preciso. "Come era introdotto il novizio gli dava del signore, lo lodava, gli guardava i denti se erano bianchi, che così gli piacevano, se era biondo, se aveva buon fiato, e se camminava dinsivolto; poi lo faceva sedere sul letto e l'invitava a bere il rosolio, lo visitava se era di buon nerbo e se subito s'adirava [cioè rizzava], che se non aveva queste due qualità non era di suo gusto".
Dopo di che passava a dare del tu al ragazzo, si faceva baciare e infine, secondo Gualtieri, "vicendevolmente si mastupravano" (cioè masturbavano) "o colle mani, o talora con la bocca, o in altro modo ecc".
Dopo l'atto il ragazzo veniva pagato e, se il Granduca era soddisfatto, veniva premiato con l'inserimento nella lista dei "ruspanti", così chiamati dal nome della moneta, il "ruspo", con cui veniva pagata loro una pensione settimanale.
Questo dei "ruspanti" era l'aspetto più clamoroso dei capricci amatori del granduca. Secondo Gualtieri, essendo i ruspanti "oltre centosessanta per ognuno dei due giorni destinati alla loro paga, essendo in tutto oltre 350 di numero, ogni volta che si introducevano per la paga vi era un frastuono e bordello sotto il loggiato e cortile dei Pitti fra loro".
Tanta bailamme non passava ovviamente inosservata. In particolare la moglie di Gian Gastone, comprensibilmente, "aveva in odio i ruspanti e non poteva soffrirli, e il Gran Duca, per farle dispetto, sapendo che il martedì e il sabato, giorni della paga, ella se ne stava ad un balcone da una finestra remota a vederli, ve li fa apposta trattenere tre o quattro ore". Una volta, essendo saltato un giorno di paga, arrivò in un colpo solo "tutto l'esercito che furono circa 350, e sapendo l'odio che porta loro la Principessa, e ciò che di lei con loro dice il Gran Duca, la disprezzavano né la stimavano nulla".
I ragazzi "ruspanti" erano di solito tali di fatto oltre che di nome, e questo non faceva certo bene alla fama di Gian Gastone, dato che i ragazzacci non avevano ritegno di vantarsi con gli amici di essere andati "a menar l'usignolo [uccello] al gran Duca, e dopo averglielo menato, ha dato dodici ruspi".
Ma tant'è: reputazione o no Sua Altezza Reale aveva gusti, per così dire, pasoliniani. Nel sesso lo eccitavano le situazioni "forti", degne di una dark-room S/M dei tempi andati, con una sfumatura forse più masochista che sadica. Amava un po' di sudiciume: se dopo esser stato spinto a bere e fumare il ragazzo stava male e vomitava, Gian Gastone si divertiva un mondo. Amava la parole sporche, "farsi dare del coglione, e del viso di cazzo, e becco fottuto, e per forza voleva che così lo trattassero". I ragazzi venivano addirittura istruiti su come insultarlo.
Fra gli epiteti con cui gli piaceva farsi chiamare il più divertente è "realona", una presa in giro del titolo di "Altezza Reale", accresciuto certo in allusione alla corpulenza del granduca, e per di più usato (per farsi umiliare?) al femminile.
A proposito di intemperanze verbali, Gualtieri racconta che una volta un giovanottone invaghito di una prostituta chiamata Danzica, che era nelle simpatie del granduca, gli si presentò dicendo di essere il marito di Danzica. "Gli domandò il Gran Duca come avesse grosso e lungo cazzo, e che a una puttanaccia com'era la Danzica, ci voleva un fusto [un tronco] di pino.
Gli rispose che lo sapeva e che non stava male all'ordine, onde il Gran Duca volle controllare e lo trattenne più di due ore, e lui gli chiese d'entrare ruspante. Subito glie lo accordò e gli disse che riverisse la sua sposa, il che quello promise di fare.
Il Gran Duca gli domandò: "E come dirai tu?" "Dirò che Vostra Altezza le fa l'onore di riverirla". "Tu sei un coglione", rispose il Principe, "sta', e bada bene: tu le hai a dir così: Sua altezza realona, saluta l'Angiolona detta la Danzicona che ha una gran pottona [figona] perch'ell'è una solenna buggerona [fottutona]. Addio, beccaccio cornuto".
Egli rispose: Vostra Altezza reale mi dia quanti titoli vuole: purché mi dia dei ruspi tutto va bene".
Il granduca, comunque, non si accontentava di intemperanze verbali, e non disdegnava, per esempio, le ammucchiate: riferisce Gualtieri come certe sere Gian Gastone radunasse dieci o dodici "ruspanti" e poi desse il "via"; "volendo toccare e sentire quanto era entrata la lancia, e sembrandogli poco penetrare diceva, pigiate, pigiate". A volte aggiungeva le donne al divertimento e avevano luogo penetrazioni davanti e dietro, "come quando si ficca nel legno un chiodo, ch'un altro lo ribadisce".

Da: "I Medici visti da dietro", di Giovanni Dall'Orto